Sinergie di Scuola – 01/10/2012 – Fruizione del permesso per assistere il figlio disabile
Il lavoratore dipendente ha diritto a fruire dei tre giorni di permesso mensile ex art. 33 della L. 104/92 anche se la moglie non svolge alcuna attività lavorativa ed è in grado di assistere il figlio gravemente disabile.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16460 del 27 settembre 2012, con la quale ha richiamato i precedenti orientamenti già espressi con le sentenze n 16102/2009 e n. 4623/2010.
La Legge 5 febbraio 1992 n. 104 – ricorda la Suprema Corte – prevede, all’art. 33, agevolazioni per i lavoratori che assistono soggetti portatori di handicap. In particolare, il comma 3. nel suo testo originario stabiliva che “Successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità, nonché colui che assiste una persona con handicap in situazione di gravità parente o affine entro il terzo grado, convivente, hanno diritto a tre giorni di permesso mensile, … fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno”.
Nel 2001 è poi intervenuto il Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, denominato “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000. n. 53”, il quale, al comma 6 dell’art. 42, specifica che i permessi mensili a favore del genitore di portatore di handicap “spettano anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto”.
Tali agevolazioni sono dirette essenzialmente ad evitare che il bambino disabile resti privo di assistenza, di modo che possa risultare compromessa la sua tutela psico-fisica e la sua integrazione nella famiglia e nella collettività, così confermandosi che, in generale, il destinatario della tutela realizzata mediante le agevolazioni previste dalla legge non è il nucleo familiare in sé, ovvero il lavoratore onerato dell’assistenza, bensì la persona portatrice di handicap.
Sulla base di questi assunti, il Collegio ha dunque ritenuto che al lavoratore deve essere riconosciuto il diritto ad usufruire del beneficio richiesto, anche a volere considerare la propria moglie e madre della bambina disabile idonea ad assistere la figlia. Perché “una adeguata tutela del figlio handicappato esige che alla assistenza continua da parte del genitore non lavoratore si aggiunga l’assistenza del genitore lavoratore per i tre giorni di permessi mensili previsti dalla legge”.
“Ciò – conclude la Corte – non solo perché l’handicappato ha bisogno dell’affetto anche da parte del padre lavoratore, ma anche perché sussiste tipicamente una ovvia esigenza di avvicendamento e affiancamento, almeno per quei tre giorni mensili, del genitore non lavoratore”.