La Tecnica della Scuola – 31/10/2014 – La frase di scherno non equivale a una minaccia
Pasquale Almirante
La frase “povera a vuie professore”, pronunciata a conclusione di un colloquio tra lo studente e il docente, non può essere considerata una minaccia. È frase di scherno, ma non idonea a incutere timore. Lo ha deciso la Cassazione.
E sebbene sia stata pronunciata in un ambiente scolastico “particolare”, non è idonea a coartare la volontà di una persona.
La Cassazione con la sentenza 41001 del 2 ottobre 2014 non ha dubbi e quindi la docente non ha nulla da recriminare.
Il caso in particolare, come racconta Il Sole 24 Ore, ha avuto come protagonisti una professoressa e uno studente il quale, al termine di una discussione avvenuta a scuola, aveva rivolto tale frase alla sua insegnante.
Come spesso accade negli antri della giustizia italiana, il primo giudizio del Tribunale ritenne l’espressione priva di qualsiasi contenuto minaccioso, ma la Corte d’appello ha invece giudicò minatoria la frase pronunciata dal ragazzo.
Ed ecco la Cassazione che ha ribaltato nuovamente la decisione criticando il ragionamento della Corte d’appello che ha ritenuto sussistente la minaccia solo sulla base della ricostruzione del fatto e del quadro storico in cui esso è avvenuto, senza approfondire gli elementi oggettivi e soggettivi relativi all’esistenza di un danno ingiusto prospettato dallo studente alla professoressa.
Per i giudici, in altri termini, il riferimento al «criterio di medianità riecheggiante le reazioni interpersonali in quell’ambiente scolastico» non è sufficiente ad individuare il male ingiusto prospettato all’insegnante.