– 16/11/2015 – Sanzioni disciplinari: le finalità del decreto Brunetta e la particolarità della scuola (di redazione)
di Mavina Pietraforte Dirigente tecnico Miur USR Lombardia – Il recente articolo su orizzonte scuola riguardante un caso di sanzione disciplinare subita da una docente e da questa impugnata davanti al Tribunale di Lodi, fa sorgere delle riflessioni.
Da quello che si riporta nell’articolo, il giudice del lavoro adito ha sentenziato che il provvedimento di sospensione della docente per un giorno dal servizio e dalla retribuzione, adottato dalla preside era illegittimo e lo ha quindi annullato, potendo al massimo essere erogata una censura, come chiosa il coordinatore della Gilda di Lodi, sig. Luigi Maglio, sempre stando a quanto riferito nella fonte citata.
Inoltre, scorrendo sempre l’articolo, vi è un virgolettato in cui si dice testualmente che
“La dirigente scolastica – spiega Luigi Maglio, coordinatore della Gilda di Lodi – ha irrogato la sanzione applicando erroneamente la riforma Brunetta, perché il decreto legislativo 150/2009 consente il superamento della norme del testo Unico del 1994 soltanto nei confronti del personale Ata, escludendo quindi il corpo docente.”
Tutto questo è molto interessante perché è occasione di far luce nei tanti comportamenti e decisioni da parte dei dirigenti scolastici e dell’Amministrazione che si muovono talora goffamente nel groviglio di normativa pubblicistica e privatistica, che è lo stato dell’arte della nostra legislazione scolastica.
Premesso che non si conosce quale sia il comportamento della docente, in quanto non riferito nell’articolo, ma solo la sanzione che, sempre a detta dell’articolo, sarebbe stata “comminata su segnalazione della direzione scolastica regionale”, un primo tentativo di far luce dovrebbe andare nella direzione di una lettura coordinata delle parti del T.U. istruzione e del decreto “Brunetta” riguardanti il disciplinare. [D.L.vo 297/94, P arte terza , Personale , Titolo I , Personale docente, educativo, direttivo e ispettivo , Capo IV , disciplina , artt. 492-501; D.Lgs. 150/09, art. 69 che ha novellato il Dl.gs 165/01, inserendo dopo l’art. 55, gli artt. da 55bis a 55 novies , riguardanti forme e termini del procedimento disciplinare , rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale e i nuovi illeciti disciplinari, tra cui quello per falsità nella presenza in servizio o documentali o dichiarative con le connesse sanzioni del licenziamento. ]
La gravità dell’illecito e la scelta del procedimento da attivare
Come è noto, nel T.U. istruzione, l’articolo che disciplina la sanzione della censura, il 493, ne statuisce l’applicazione per la fattispecie ipotizzata di “ mancanze non gravi riguardanti i doveri inerenti alla funzione docente o i doveri di ufficio” , mentre negli artt. dal 494 al 496, sono stabilite le sanzioni della sospensione fino ad un mese, da oltre un mese a 6 mesi, e per un periodo superiore a 6 mesi, e previsti pure gli effetti collegati alla sanzione sospensiva, nell’art. 497.
Si tratta di una delimitazione ben precisa di sanzioni dove si passa dalla censura alla sospensione con dettagliate le fattispecie di illecito disciplinare. Per la sospensione, graduata nel modo in cui si è detto, le ipotesi di illeciti vanno dalle gravi negligenze in servizio alla violazione del segreto di ufficio, alla omissione di atti di vigilanza, fino ai casi di particolare gravità, quali quelli di uso dell’impiego per fini personali e di abuso d’autorità.
Rispetto al T.U. istruzione, calato nella realtà della funzione docente e per questo sempre attuale, oltre che formalmente vigente, in quanto mai abrogato, se non nell’art.503, abrogazione peraltro impervia che ha determinato interpretazioni ministeriali [tese a ripristinarne l’istituto in quelle situazioni imbarazzanti quando davvero la presenza del docente in classe, che abbia commesso gravi reati di natura personale nei confronti degli allievi non risponderebbe ad un senso comune di giustizia, come e quanto innova il decreto Brunetta? [Cfr. Circ. 88, prot. N. 3308, 8 novembre 2010]
Si può rispondere semplicemente che tale decreto complica solo le decisioni da prendere in materia disciplinare, almeno per quanto riguarda la scuola. Questo perché nell’art. 55 bis che novella il T.U. sulla dirigenza, ove è dettagliato minuziosamente il procedimento da seguire per comminare la sanzione, nulla si dice però della tipologia della fattispecie soggetta a sanzione , stabilendo solo una ripartizione di competenze in ordine alla gravità dell’illecito commesso , tra fattispecie ritenute tali da poter essere gestite dal dirigente della struttura, che nel caso della scuola è il dirigente scolastico, con la sanzione della sospensione fino a 10 giorni , e fattispecie più gravi, correlate alla sanzione di più di 10 giorni, da demandare alla competenza dell’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari, che per docenti e ATA, fa capo agli ambiti territoriali di ciascun Ufficio Scolastico Regionale. [ Il D.Lgs 165/01, op. cit. ]
Le finalità del decreto Brunetta e la particolarità della scuola.
Il decreto Brunetta nasce per esigenze di garanzia del rispetto della legalità da parte dei dipendenti pubblici, a fronte di comportamenti purtroppo diffusi di malcostume, e si preoccupa quindi di introdurre nuove fattispecie di illeciti disciplinari relativi alle falsità documentali e dichiarative, alle violazioni di obblighi lavorativi, collegati al controllo delle assenze da parte del dirigente, all’insufficiente rendimento; illeciti per cui si introduce anche il licenziamento.
Ovvio che anche il personale della scuola, docente e Ata, fa parte della categoria dei dipendenti pubblici, così come la scuola fa parte integrante della Pubblica Amministrazione ma la scuola ha una sua specificità per cui il comportamento del docente in classe se non corretto e non conforme ai principi educativi, presenta una gamma di situazioni difficilmente ascrivibili solo alla distinzione tra reati meno gravi e più gravi, ci cui all’art. 55 bis. Vi è una difficoltà interpretativa che non viene risolta solo dal decidere chi è competente a decidere la sanzione da comminare. [ Art. 1. Comma 2, Dlgs. 165/01]
Molto spesso, mi è capitato di osservare, nella esperienza pregressa di presidente dell’UCPD di Milano, come i dirigenti scolastici siano per lo più nell’affanno di valutare se spetta a loro oppure no, l’attivazione del procedimento disciplinare, senza, a volte, soffermarsi sul fatto che sono loro i diretti interessati, i soli che nell’immediato e in situazione hanno la capacità e competenza di ascrivere il comportamento del docente a quelle fattispecie che il T.U. istruzione cosi sapientemente dettaglia, senza farsi offuscare dalla normativa del T.U. Dirigenza.
Normativa che in realtà è più calata nella realtà amministrativa che non educativa, dove si richiede più una capacità valutativa di quanto accade nella relazione educativa, che a volte si sottrare al rigido discrimine della norma di cui all’art. 55 bis comma 2 con riguardo alla forma e ai termini del procedimento disciplinare.
La prevalenza del T.U. istruzione
Quanto sopra per ribadire dire che il T.U. dell’ istruzione è la fonte principale di ogni decisione in materia di sanzioni per il personale docente, come il C.C.CN.L. lo è per il personale Ata, ma per i nuovi illeciti disciplinari di cui al decreto Brunetta, la norma è imperativa sia per il personale docente che Ata. Per i nuovi illeciti immessi nell’ordinamento giuridico dal T.U. sulla dirigenza, ad esempio, il dubbio se sia più o meno grave e quindi nella competenza del ds o dell’UCPD, non ha motivo di porsi: falsità documentali vanno senz’altro demandate all’UCPD. Non mancano peraltro anche in questi casi suggestioni capziose, con trattamento di casi in cui all’illecito accertato di falsità nella dichiarazione, segue una procedura di licenziamento demandata al dirigente scolastico, facendo ricorso al un decreto di decadenza, specie se il protagonista dell’illecito è un supplente .(?) [Per il personale Ata, cfr. CCNL 2006-09, Sez. II, personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, artt. 92-99 ]
A voler guardare, appaiono orizzonti incerti, in una terra di nessuno dove probabilmente non tutti i comportamenti degli UCPD riescono ad essere uniformi con indicazioni a cascata poco conformi, che rendono ancora più impellente la necessità di una lettura condivisa di queste due fonti normative, da parte degli attori coinvolti, dirigenti scolastici e Amministrazione periferica.
Oltre a quanto sopra delineato, si assiste del pari a spinte e controspinte nella direzione del T.U. sulla dirigenza, anche dovute ad alcune accezioni della dirigenza scolastica che ne accentuano il ruolo di dirigente della pubblica amministrazione, a discapito della sua specificità, che è quella di essere esercitata in un contesto peculiare dove il bene comune è l’educazione.
Il comportamento conforme o meno ai doveri di correttezza, di lealtà ed educativi del docente vanno valutati in situazione, all’interno di quella classe, di quella scuola, delle dinamiche ivi esistenti : questo è il primo criterio di giudizio e la prima guida deve essere il T.U. istruzione . Solo in un secondo momento, se l’azione commessa dal docente appare essere così grave da andare oltre la censura, esondando nell’ipotesi di sospensione, allora ecco che giova pensare in termini di minore e maggiore gravità ed attenersi al riparto di competenze stabilito nell’art. 55 bis, prendendo la decisione di demandare l’attivazione del procedimento disciplinare all’UCPD.
Difficoltà interpretative della normativa dovute alle sue stesse ambiguità e pletora, incoerenze nella prassi amministrativa, possono davvero determinare situazioni variegate e opache che la giurisprudenza non manca di evidenziare, ad esito dei contenziosi, e che solo il legislatore attento alla scuola potrebbe riordinare.
Sanzioni disciplinari. I Presidi non possono sospendere i docenti