– 26/08/2016 – Mobilità, il risarcimento danno in caso di trasferimento illegittimo (di redazione)
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La giurisprudenza sia amministrativa che ordinaria si è occupata diverse volte del risarcimento danno, spesso di natura esistenziale, in caso di trasferimento illegittimo.
A livello amministrativo è da segnalare il Consiglio di Stato, sez. VI, 28/01/2016 n. 284 . Un lavoratore, a causa di un trasferimento in altra sede lavorativa pativa diverse patologie tra le quali: bronchite cronica, colopatiaspastica, ernia del disco, disturbi all’apparato oculare, fibrillazione atrialee, da ultimo, un generale stato ansioso depressivo).
Il Consiglio di Stato riteneva necessario richiamare alcuni principi elaborati dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. explurimis e da ultimo, Cass., sez. un., 23 marzo 2011, n. 6594; Cons. Stato, ad.plen., 19 aprile 2013, n. 7; sez. V, 12 giugno 2012, n. 1441; sez. IV, 22maggio 2012, n. 2974; sez. IV, 2 aprile 2012, n. 1957; sez. III, 30 maggio2012, n. 3245; sez. V, 21 marzo 2011, n. 1739; sez. V, 28 febbraio 2011, n.1271; Cons. giust. amm., 24 ottobre 2011, n. 684; sez. IV, 27 novembre 2010, n.8291), in forza dei quali: nel giudizio risarcitorio che si svolge davanti algiudice amministrativo, nel rispetto del principio generale sancito dal combinato disposto degli artt. 2697 c.c. (secondo cui chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda) e 63, co. 1 e 64,co. 1, c.p.a. (secondo cui l’onere della prova grava sulle parti che devono fornire i relativi elementi di fatto di cui hanno la piena disponibilità), non può avere ingresso il c.d. metodo acquisitivo tipico del processo impugnatorio; pertanto, il ricorrente che chiede il risarcimento del danno da cattivo (omesso) esercizio della funzione pubblica, deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda; la qualificazione del danno da illecito provvedimentale rientra nello schema della responsabilità extra- contrattuale disciplinata dall’art. 2043 c.c. ; conseguentemente, per accedere alla tutela è indispensabile, ancorché non sufficiente, che l’interesse legittimo sia stato leso da un provvedimento (o da comportamento) illegittimo dell’amministrazione reso nell’esplicazione (o nell’inerzia) di una funzione pubblica e la lesione deve incidere sul bene della vita finale, che funge da sostrato materiale dell’interesse legittimo e che non consente di configurare la tutela degli interessi c.d. procedimentali puri, delle mere aspettative o dei ritardi procedimentali; la prova dell’esistenza del danno deve intervenire all’esito di una verifica del caso concreto che faccia concludere per la sua certezza la quale a sua volta presuppone: l’esistenza di una posizione giuridica sostanziale; l’esistenza di una lesione, che è configurabile(oltreché nell’ovvia evidenza fattuale) anche allorquando vi sia una rilevante probabilità di risultato utile frustrata dall’agire (o dall’inerzia) illegittima della p.a.; i doveri di solidarietà sociale che traggono fondamento dall’art. 2 Cost. , impongono di valutare complessivamente la condotta tenuta dalle parti private nei confronti della p.a. in funzione dell’obbligo di prevenire o attenuare quanto più possibile le conseguenze negative scaturenti dall’esercizio della funzione pubblica o da condotte ad essa ricollegabili invia immediata e diretta; questo vaglio ridonda anche in relazione all’individuazione, in concreto, dei presupposti per l’esercizio dell’azione risarcitoria, onde evitare che situazioni pregiudizievoli prevenibili o evitabili con l’esercizio della normale diligenza si scarichino in modo improprio sulla collettività in generale e sulla finanza pubblica in particolare.
La Corte di Cassazione, con sentenza nr. 11527 del 14 maggio 2013 ha affermato che è onere del lavoratore provare non solo l’illegittimità del comportamento datoriale ma, anche il danno esistenziale subito e, il relativo nesso causale tra condotta e danno.
Dunque i n presenza di un fatto ritenuto ingiusto e compiuto dal datore di lavoro, sia questo privato che pubblico e che possa avere inciso su diritti costituzionalmente rilevanti, collegati alla famiglia od alla vita di relazione del lavoratore, l’obiettivo peggioramento delle condizioni di vita di quest’ultimo non è in re ipsa.
D’altronde “la radicale riforma del pubblico impiego (c.d. contrattualizzazione), ha quale risultato precipuo quello di rendere tendenzialmente operante nel settore tutta la disciplina del lavoro privato, cosicchè il provvedimento di trasferimento del pubblico dipendente configura atto di gestione del rapporto di lavoro, ha natura squisitamente privatistica e deve essere valutato alla stregua dell’art. 2103 c.c.; ne consegue che la revoca del dipendente il quale abbia in un primo tempo dato il proprio consenso al trasferimento, è priva di effetti. (Corte d’Appello Firenze 7/./2003, ) ed applicandosi anche nel pubblico i principi propri del rapporto di lavoro privato si deve tenere conto che i n tema di trasferimento del lavoratore, poiché l’art. 2103 c.c. ha lo scopo di tutelare la dignità del lavoratore e di proteggere le relazioni interpersonali che lo legano a un determinato complesso produttivo, tali tutele rilevano anche ove lo spostamento avvenga in un ambito geografico ristretto, da una unità produttiva a un’altra, intendendo per unità produttiva ogni articolazione autonoma dell’azienda, avente, sotto il profilo funzionale e finalistico, idoneità a esplicare, in tutto o in parte, l’attività dell’impresa. (Cass. 30/9/2014 n. 20600).