Sinergie di Scuola – 07/11/2014 – Legittimo il prelievo del 2,50% sul TFS
Non sussiste disparità di trattamento tra i dipendenti pubblici ai quali continua ad applicarsi la trattenuta del 2,50% sull’80% della retribuzione e i dipendenti privati (per i quali non è previsto nessun prelievo a titolo previdenziale); e tra i dipendenti pubblici assunti prima del 2001 (per i quali è stato ripristinato il TFS) e quelli assunti post 2001, per i quali è in vigore la disciplina del TFR.
Così ha deciso la Corte Costituzionale con la sentenza n. 244 del 28/10/2014, itervenendo sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 98 e 99, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), sollevata dal Tribunale ordinario di Reggio Emilia a seguito di un’ordinanza del marzo 2013, emessa nel corso di una controversia promossa nei confronti del Ministero della giustizia da alcuni dipendenti, per ottenere la cessazione della trattenuta (del 2,50%) operata a loro carico in conto del trattamento di fine servizio (TFS) e la restituzione delle somme, a tale titolo, trattenute dal 1° gennaio 2011.
I dubbi di legittimità costituzionale
Il comma 98 contrasterebbe, secondo il rimettente, con gli artt. 3 e 36, primo comma, Cost., in quanto il ripristino del precedente regime del TFS per i dipendenti pubblici introdurrebbe una “disparità di trattamento tra costoro (cui continua/riprende a essere applicato un prelievo del 2,5% sull’80% della retribuzione) e i dipendenti privati (per i quali non è previsto nessun prelievo a titolo previdenziale, ma solo un accantonamento del 6,91% sull’intera retribuzione, non tassabile); e tra i dipendenti pubblici assunti prima del 2001 (per i quali è stato ripristinato il TFS) e quelli assunti post 2001, per i quali è in vigore la disciplina del T.F.R., ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 dicembre 1999“; inoltre, perché consentirebbe allo Stato “una riduzione dell’accantonamento, irragionevole perché non collegata con la qualità e quantità del lavoro prestato“.
Il successivo comma 99, con il prescrivere che “I processi pendenti aventi ad oggetto la restituzione del contributo previdenziale obbligatorio nella misura del 2,5% della base contributiva utile prevista dall’articolo 11 della legge 8 marzo 1968, n. 152, e dall’articolo 37 del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032 si estinguono di diritto” violerebbe altri dettami costituzionali, tra i quali gli artt. 3 e 24 Cost., per la sostanziale vanificazione, che attuerebbe, del diritto del cittadino alla tutela giurisdizionale, e per l’ingiustificata disparità di trattamento, che ne deriverebbe, “tra coloro che hanno già adito l’autorità giudiziaria ottenendo una pronuncia favorevole alla restituzione del prelievo forzoso del 2,50% […], coloro che sono sub iudice in questo momento, ovvero non l’hanno ancora adito”.
Excursus normativo
Nel decidere, la Consulta ripercorre la normativa di riferimento in tema di trattamento previdenziale dei pubblici dipendenti.
Inizialmente tale trattamento era costituito esclusivamente dalla indennità di buonuscita disciplinata per i dipendenti del comparto statale dal d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 e dalla indennità premio di servizio, riconosciuta ai dipendenti del comparto locale dalla legge 8 marzo 1968, n. 152.
L’indennità di buonuscita (o TFS) era ed è tuttora (con alcuni limiti) corrisposta da un fondo finanziato, tra l’altro, da un contributo del 9,60% sull’80% della retribuzione lorda a carico dell’Amministrazione di appartenenza, con diritto, della stessa, di rivalersi sul dipendente del 2,50% di tale importo.
L’art. 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 1999, dando concreta attuazione alle previsioni già contenute nella legge 8 agosto 1995 n. 335, rimaste sino a quel momento inattuate, ha disposto il passaggio al regime del trattamento di fine rapporto (TFR) nei confronti del personale delle pubbliche amministrazioni assunto (a tempo indeterminato) successivamente al 31 dicembre 2000, dando così luogo ad un duplice regime: TFS, per i dipendenti assunti ante 2001 e TFR per i dipendenti assunti a partire dall’1° gennaio 2001.
Il successivo decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, sub art. 12, comma 10, aveva testualmente così disposto: “Con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 2011, per i lavoratori alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione […] per i quali il computo dei predetti trattamenti di fine servizio, comunque denominati, in riferimento alle predette anzianità contributive non è già regolato in base a quanto previsto dall’articolo 2120 del codice civile in materia di trattamento di fine rapporto, il computo dei trattamenti di fine servizio si effettua secondo le regole di cui al citato articolo 2120 del codice civile, con applicazione dell’aliquota del 6,91 per cento“. Tale disposizione, nel determinare l’applicazione (nell’esteso regime del TFR) dell’aliquota del 6,91%, nulla aveva specificato in ordine alla vigenza, o meno, della trattenuta del 2,50%, che l’Amministrazione aveva di fatto continuato, comunque, ad operare nei confronti del dipendente.
Da qui l’intervento della stessa Corte Costituzionale che, con sentenza n. 223 del 2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del predetto art. 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte, appunto, «in cui non esclude[va] l’applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,50% della base contributiva prevista dall’art. 37, comma 1, del d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1032».
Per dare attuazione a questa sentenza è stato, quindi, emanato il decreto-legge 29 ottobre 2012, n. 185, il quale ha previsto l’abrogazione in toto dell’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010, con sostanziale ripristino del regime di TFS per i dipendenti pubblici da questo interessati. Il d.l. n. 185 del 2012 è decaduto per mancata conversione in legge, ma i suoi effetti sono stati fatti salvi dalla legge n. 228 del 2012, oggetto della sentenza.
L’art. 1 della legge 228 del 2012, nei commi 98 e 99, conferma l’abrogazione dell’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010, disponendo al comma 98 che “I trattamenti di fine servizio, comunque denominati, liquidati in base alla predetta disposizione prima della data di entrata in vigore del decreto-legge 29 ottobre 2012, n. 185, sono riliquidati d’ufficio entro un anno dalla predetta data ai sensi della disciplina vigente prima dell’entrata in vigore del citato articolo 12, comma 10 […]“. Contestualmente, al comma 99, reitera la previsione della estinzione di diritto dei “processi pendenti aventi ad oggetto la restituzione del contributo previdenziale obbligatorio del 2,50 per cento della base contributiva utile prevista dall’articolo 11 della legge 8 marzo 1968, n. 152 e dall’articolo 37 del testo unico […] di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032“, stabilendo che “le sentenze eventualmente emesse, fatta eccezione per quelle passate in giudicato, restano prive di effetti“.
La decisione della Corte Costituzionale
Fatte queste premesse, la Consulta ritiene la non sussistenza di alcuna violazione degli artt. 3 e 36 Cost., perchè il trattamento di fine servizio è diverso e – come sottolineato dalla sentenza n. 223 del 2012 – normalmente “migliore” rispetto al trattamento di fine rapporto, per cui il fatto che il dipendente che ne ha diritto partecipi al suo finanziamento, con il contributo del 2,50% (sull’80% della sua retribuzione), non integra un’irragionevole disparità di trattamento rispetto al dipendente che ha diritto invece al trattamento di fine rapporto. Inoltre, il fatto che alcuni dipendenti delle pubbliche amministrazioni godano del trattamento di fine servizio ed altri del trattamento di fine rapporto è conseguenza del transito, deciso dal legislatore, del rapporto di lavoro da un regime di diritto pubblico ad un regime di diritto privato.
Allo stesso modo non sussiste alcuna violazione degli altri parametri (artt. 24, 101, 102, 104 e 113 Cost.), in primo luogo perchè non è illegittima la disposta estinzione dei giudizi in corso, in quanto l’interesse dei ricorrenti alla restituzione del contributo del 2,50% è venuto meno con il ripristino (ad opera della normativa impugnata) del previgente regime di TFS, nel cui contesto quel contributo concorre a finanziare il fondo erogatore dell’indennità di buonuscita.
E non è neppure rinvenibile una diversità di trattamento tra i dipendenti che, nelle more, abbiano ottenuto la restituzione del 2,50% con sentenza passata in giudicato (restituzione divenuta «indebita» a seguito dell’abrogazione dell’art. 12, comma 10, del citato d.l. n. 78 del 2010) e quelli che non l’abbiano ottenuta per il sopravvenuto ripristino dell’indennità di buonuscita. “Ciò – conclude la sentenza – essendo inevitabilmente dovuto alla successione di diverse disposizioni normative ed al generale principio di intangibilità del giudicato“.