Sinergie di Scuola – 12/12/2014 – Cosa deve provare il lavoratore in caso di mobbing?
Gravosi e specifici sono gli oneri a carico del lavoratore che voglia intraprendere un giudizio in materia di mobbing, fattispecie in sede di giudizio molto spesso riguardante le scuole.
Secondo una recentissima sentenza del Consiglio di Stato (sez. VI del 4 novembre 2014, n. 5419) il “lavoratore… non può limitarsi davanti al giudice a genericamente dolersi di esser vittima di un illecito … ma deve quanto meno evidenziare qualche concreto elemento in base al quale il Giudice Amministrativo possa verificare la sussistenza nei suoi confronti di un più complessivo disegno preordinato alla vessazione o alla prevaricazione”.
Nello specifico quindi si ricorda che:
- Gli elementi di prova vanno precostituiti: tutti i provvedimenti che si ritengono mobbizzanti, sia quelli organizzativi che quelli reputati vessatori in sé, comprese le ingiurie e le minacce per intenderci, debbono essere oggetto di autonomo rilievo e impugnativa, in modo da costituire il precedente per poter giustificare una futura causa per mobbing.
- Occorre dimostrare la lesione della personalità e del proprio stato di salute: il danno da mobbing deve essere un danno certo e provato, anche e soprattutto tramite certificati medici atti a suffragare uno stato di salute compromesso, e a far supporre un nesso eziologico con i comportamenti ritenuti mobbizzanti. Secondo il Consiglio di Stato si devono dimostrare comportamenti consistenti in “forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità”.
- L’onere della prova grava sul lavoratore: rammenta la magistratura amministrativa ricordando anche la Cassazione che “l’onere della prova grava sul lavoratore, potendo esso essere assolto con la dimostrazione di elementi specifici, tali da far ritenere con sufficiente certezza l’intento di rappresaglia, il quale deve aver avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione del provvedimento illegittimo”.
- Occorre sempre un nesso eziologico: non sono sufficienti isolati, anche se numerosi, episodi, ma occorre dimostrare la “sistematicità dell’intento persecutorio” e la sua stretta connessione con il danno causato.
Per aprofondimenti si rimanda alla lettura dell’articolo di Francesca Romana Ciangola “Quando è corretto parlare di mobbing” pubblicato sul n. 44 – Dicembre 2014 di Sinergie di Scuola.