Sinergie di Scuola – 30/09/2015 – Il datore di lavoro non può spiare le conversazioni dei dipendenti su Skype
Il contenuto di comunicazioni di tipo elettronico e/o telematico scambiate dal dipendente nell’ambito del rapporto di lavoro sono assistite da garanzie di segretezza tutelate anche a livello costituzionale “la cui ratio risiede nel proteggere il nucleo essenziale della dignità umana e il pieno sviluppo della personalità nelle formazioni sociali”.
Questo comporta la necessità che l’eventuale trattamento dei dati riferiti a comunicazioni di posta elettronica o assimilabili, inviate e ricevute dal dipendente nello svolgimento dell’attività lavorativa, debba essere garantito da un elevato livello di tutela atto ad impedire, in un’ottica di bilanciamento con i contrapposti interessi del datore di lavoro e in attuazione dei principi di necessità, correttezza, pertinenza e non eccedenza, “un’interferenza ingiustificata sui diritti e sulle libertà fondamentali di lavoratori, come pure di soggetti esterni che ricevono o inviano comunicazioni elettroniche di natura personale o privata”.
Lo ha recentemente ribadito il Garante per la protezione dei dati personali, con provvedimento del 4/06/2015, intervenendo sul ricorso di una dipendente di un’azienda, sul cui pc aziendale il datore di lavoro aveva installato, durante la sua assenza per ferie, un apposito programma atto a visualizzare sia le conversazioni Skype effettuate dalla ricorrente dalla propria postazione di lavoro, sia quelle avvenute tra l’interessata e soggetti terzi attraverso un computer collocato presso l’abitazione della stessa.
Per il Garante l’attività di raccolta posta in essere dal datore di lavoro, riguardando in parte comunicazioni avvenute nel corso di svolgimento delle mansioni della lavoratrice, in parte comunicazioni effettuate dalla ricorrente al di fuori di esse, risulta essere stata posta in essere con modalità che si pongono in evidente contrasto con le “Linee guida del Garante per posta elettronica e Internet”.
Pertanto, l’Autorità ha accolto il ricorso della lavoratrice, ordinando alla società di non effettuare alcun ulteriore trattamento dei dati personali relativi alle conversazioni Skype avvenute tra la ricorrente e soggetti terzi, con conservazione di quelli trattati ai fini della eventuale acquisizione da parte dell’autorità giudiziaria.